Breve storia di Ceneda e Serravalle ora Vittorio Veneto (Treviso)

Breve storia di Ceneda e Serravalle ora Vittorio Veneto (Treviso)

 

Breve storia di Ceneda e Serravalle ora Vittorio Veneto (Treviso)

 

ODERZO E I ROMANI

Quando nell'anno 201 a. C. (533 dalla fondazione di Roma) la repubblica Romana stese la sua potenza su la Regione Veneta, trovò Oderzo città assai importante per estensione e per popolazione. La ascrisse alla tribù Papiria, e venti anni dopo la incorporò alla provincia di Aquileia. In seguito, i soldati di Pompeo la rovinarono, e questo scempio determinò Volteio, il famoso tribune opitergino, a parteggiare per Giulio Cesare nella sua lotta civile con Pompeo; Volteio morì da eroe, Cesare trionfò e, in compenso, restaurò la città, le concesse la cittadinanza romana ed ampliò il suo territorio, che si estese dal Piave al Livenza.

Da tutti i barbari che si precipitarono selvaggiamente sull'Italia, Oderzo ebbe considerevoli danni. Attila nel 452 d.C. la distrusse; Teodorico la restaurò; i Greci la dominarono, e i Longobardi con Rotari nel 641 e con Grimoaldo nel 665 la incendiarono e rasero al suolo, obbligando così gli abitanti a rifugiarsi nelle venete paludi.

DATI DI ANTICHITÀ VITTORIESI

Alla storia di Oderzo e congiunta quella di Ceneda, che di Oderzo appunto fu parte (vìcus opiterginus)
Ceneda, dunque, vanta origine antichissima; e ne son prova le reliquie che si trovarono nel suo sottosuolo : monete, armi, aquile, lapidi. ecc. di epoca romana, segnatamente di Giulio Cesare.
E fuor di dubbio essa ccomprendeva il territorio che va da S. Rocco (allora detto S. Eliseo) a Piazza Gallina e al Duomo, dal Duomo alle Monache e poi, svoltando, su al Centro e, per Bigonzo, a Santa Giustina.
Quanto a Serravalle, basta riflettere ch'essa diveniva posizione strategica per i Romani allo scopo di ostacolare la discesa. dei barbari irrompenti dal Cadore.

IL NOME DI CENEDA

Le opinioni degli storici antichi sono varie e discordanti fra loro intorno al nome di Ceneda e all' epoca nella quale esso dapprima fu usato; taluno lo fa risalire al secolo I. - (Il nome Acedum che si trova In Plinio (70 d.C.), quello di Cespasias che si legge nell' Itinerario Agostiniano (secolo II) e quello di Cenesta che appare in Agathias (sec. VI) diede motivo agli storici di formulare ardite ipotesi i ma semplicemente ipotesi.)
Certo si è che chiaramente e indubbiamente esso compare fra il VI e il VII secolo nelle opere di S. Venanzio sotto il vocabolo Cenita.

SVILUPPO E DECADENZA

Per meglio comprendere le vicissitudini storiche della città è conveniente fissare le fasi della vita e della fortuna cittadine in succinto ordine cronologico.
Ceneda anzitutto e vicus opìterginus, cio! paese alle dipendenze di Oderzo;
Poi diviene statio militaris (stazione di sentinella) dei Romani, i quali poscia, considerato che da Fadalto a Serravalle si stendeva la via di pàssaggio agli invasori, la costituiscono un praesidium (corpo stabile di soldati) e quindi in oppidum (luogo di difesa).
Ed eccola città governata da Oderzo e rifugio dei Franchi di Leutari;
eccola inalzata a ducato all'epoca longobarda con l'incarico di Vigilare e difendere la valle e i monti dal Brenta alle Alpi carniche ed estesa al Bellunese, al Feltrino e più oltre;
eccola verso il 700 elevata a diocesi con primo vescovo Valentiniano, e nel 908 ampliata della selva di Gai e di Ghirano;
ed eccola, in fine, sotto gli Ottoni: creata contea vescovile e nel 962 il vescovo Sicardo insediàrsi nel castèllo di S. Martino: quel vescovo Sicardo, audace e battagliero, cui il terzo Ottone dona nel 994 la città e il territorio di Oderzo fino al Piave, alla Livenza e al mare.
E a prova della nobiltà e della importanza di cui ormai la città gode, basterà ricordare che in essa abitavano i conti Polipari, i Da Collo, i Turriani ed altri, Fra i quali i conti da Camino ch'ebbero tanta parte nella storia Cenedese e Trevigiana,
Ma alla fase prosperosa doveva ineluttabilmente (come si riscontra spesso, particolarmente nel medioevo) seguirere quella decadente.
Così per le mene dei Caminesi e dei conti di Collalto, il castello di Serravalle viene tolto a Ceneda fra il 1100 e il 1200; mezzo secolo dopo il vescovo fa nuove cessioni ai Caminesi di sopra e ai Caminesi di sotto; e poi l'autorità e la potenza episcopali diminuiscono rapidamente, finché il Senato Veneto aggioga a sé ogni potestà e annulla di fatto la giurisdizione civile del conte-vescovo. rispettando soltanto la ecclesiastica.
Scoppia intanto la Rivoluzione Francescese, e poco dopo la stella di Napoleone incomincia a sfolgorare sul mondo. Ceneda é unita alla Repubblica Cisalpina fino al trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), in virtù del quale é, con tutta la Venezia, assoggettata all'Austria.
Per poco: nel 1805 il gran Corso la annette al suo Regno ltalico. Ma l'astro napoleonico tramonta nel 1815 per spegnersi nel 1821, e l'aquila bicipite ritorna signora del Veneto .... fino a quando, a traverso un secolo di cospirazioni, di persecuzioni, di morti di esili di battaglie si giunge all' ultima meravigliosa epopea: a Vittorio della Vittoria !

CALAMITA'

Durissime prove sofferse la città nei suoi lunghi secoli di vita. Terribili furono (dopo altre minati) le devastazioni operate da Manducco nel 543, dai Trevisani nel 1199 e dagli Ungheri nel 903, nel 1371 e nel 1418. Carestia e fame si seguiroro, oltre che nel decimo secolo, negli anni 1623, 1628, 1629, 18I3, 1814, 1815 e 1816, ed epidemie nel secolo decimo, la peste nel 1630 e il cholera nel 1836; mentre forti scosse di terremoto, fortunatamente senza tragiche conseguenze, gettarono lo spavento negli anni 1836 e 1873.

USI E COSTUMI

Per quanto manchino le prove, e lecito inferire che i primi abitatori furono agricoltori e pastori; e che le prime casupole servirono, oltre che di ricovero, anche di rifornimento e ristoro ai militi vaganti: specie di bettole, di osterie e di bottegucce. Certamente, con l'ampliarsi del territorio e con l'aumentare della popolazione gli usi e i costumi si modificarono e si civilizzarono.
Nel medioevo le notizie sono più sicure, perché Ceneda ha ordinamenti uguali a quelli degli altri Comuni; e cioè:

Ogni Comune aveva il proprio vessillo;

" sul nostro, quale ( stemma, sfolgorava la croce argentea in campo rosso; esso veniva portato nelle processioni religiose, radunava sotto di se il popolo pe' comizi, innalzato nei giorni solenni sul torrione del castello; pendevano dal poggiuolo nel tempo de' consigli; sotto il comando tal fiata del vescovo, più spesso dell' avogadore (Questo magistrato, pensato da re Pipino, fu regolarmente ìstituito nell' 826 sotto il papa Eugenio II, e, come dice il nome che significa avvocato, doveva occuparsi degli affari temporali, lasciando gli spirituali ai vescovi.) sventolava sul campo di battaglia.
Più tardi s'aggiunse il carroccio: un carro piatto, a più colti e bene adorno, trainato da buoi riccamente bardati; nel mezzo inalberata la croce, a destra il gonfalone , altare al sacrificio prima della pugna, di qua il sacerdote assolveva, incuorava, eccitava; pretorio e spedàle durante la mischia. Come l'arca antica dell'alleanza, ll precedevano le trombe, lo circondavano le guardie della morte, le quali avean giurato di difenderlo a costo della vita; la perdita del carroccio segnava la totale disfatta.
"
(Tratto dal libro di Don Camillo Fassetta - Storia popolare di Ceneda, pag. 171 (Vittorio Stab. Tip. R Bigontina)

Nei secoli di ferro gli usi sono aspri e i costumi rozzi: il governo della forza, il diritto della rappresaglia, l'abitudine della violenza impediscono la gentilezza e la cortesia.
Con lo svolgersi degli eventi, col rifiorire delle lettere delle scienze delle arti, con l' assùrgere di ogni uomo alla dignità di cittadino, e, sovratutto, con l'avvento della libertà e della indipendenza e lo sviluppo dei commerci e delle industrie, usi e costumi si ingentiliscono, e si costituisce la educazione moderna su la base del progresso e della civiltà.
A Ceneda come dovunque.

IL CRISTIANESIMO E LE ERESIE

Naturalmente Ceneda, come le più antiche città d'Italia seguì dapprincipio le dottrine del paganesimo; ma non appena apparve il sole del cristianesimo essa fu illuminata dalla nuova religione; e gli storici più degni di fede affermano che fin dal primo secolo dopo Cristo i santi Ermagora e Fortunato qui predicarono il nuovo verbo di carità, di umanità e di giustizia. E anche qui le nuove manifestazioni religiose furono tenute nell' ombra, per impedirne le persecuzioni da parte dei crudeli imperatori romani e dei loro accoliti; ma con raffermarsi del cristianesimo anche tali manifestazioni non hanno più bisogno di tenersi segrete. A Ceneda anzi la dottrina del Figliuolo di Dio aquista tale diffusione e pone così salde radici da resistere al dilagare delle varie eresie.
Quando Ario negò la divinità di Gesù Cristo e Pelagio la necessità della grazia per giungere a Dio, questa terra non si lasciò minimamente turbare, per opera particolare di S. Tiziano.
Quando, per gli innegabili abusi del clero cattolico, il frate Agostiniano Martin Lutero inalberò verso il 1515 il vessillo della ribellione contro la Chiesa di Roma minacciando di sovvertire la stessa virtù dei dogmi cristiani, uno dei più strenui difensori della fede avita fu Girolamo Aleandro, prete cenedese, che godette la fiducia di Carlo V, di Leone X, di Adriano VI, di Clemente VII e di Paolo III, i quali tutti lo adoperarono in delicatissimi uffici contro la nuova eresia, da cui restò immune la sua città d'elezione.
Né' il giansenismo trovò terreno propizio a diffusione.
Verso il 1640 Giovanni Giansenio olandese insinuò false dottrine intorno al peccato originale, alla maestà della Redenzione di Cristo, all' autorità dei pontefici e ad altre teorie da secoli preminenti nella religione cristiana. Fu lotta incruenta, ma non meno perniciosa, ch'ebbe sviluppo anche fra noi. L'opera però illuminata e paziente dei vescovi arginò là propaganda fatale, a merito precipuo dei vescovi Pietro Leoni e Marc'Antonio Agazzi, cui si aggiunse pescia il vescovo Francesco Trevisano eletto nel 1710 in premio dei delicatissimi uffici da lui saggiamente tenuti presso i governi della Toscana, di Genova, del Piemonte e della Francia in nome dei papi.

L'UNI0NE, IL DISTACCO E LA RIUNI0NE DI SERRAVALLE

Fino all' anno 1196 la storia non fa menzione di Serravalle se non come parte di Cèneda da circa 12 secoli e come suo potente baluardo e difesa. Da quell'epoca essa vive altra vita, e non si congiunge alla sua maggiore sorella col nome beneaugurante di VITTORIO se non nel 1866.
È logico, però, che non si può immaginare Ceneda disgiunta da Serravalle nei tempi antichi. La piana cenedese aveva bisogno di essere, difesa. e non lo poteva se non da quel Serravallum il cui nome e chiaramente significativo. A ciò si aggiunga il Viarum bijunctio (Pieve di Bigonzo) che poi si staccherà a formare un comune indipendente, e si riunirà infine (1866) alle due città.
Per ciò che riguarda Serravalle, essa appare separata da Ceneda nel testamento che Sofia dei conti di Colfosco stese nel 1174, col quale ella ne costituisce erede il vescovo Sigisfredo.
Un primo tentativo di riunione delle due città fu fatto nel 1770 dal Consiglio dei Rogati di Venezia, e un altro nel 1797 sotto il Regno Italico: invano, E peggio fu sotto l' Austria che - come ben disse il Giusti nel Sant' Ambrogio - alimentava fra luogo, e luogo quell'odio che "giova a chi regna dividendo, e teme popoli avversi affratellati insieme.
Ma la vicinanza delle terre, 1'affinità dei, costumi e la comune origine storica dovevano trionfare. Liberate dall' austriaca dominazione, Ceneda e Serravalle già costituite in un solo distretto nel 1853, a mezzo del commissario D'Afflitto chiesero il 27 settembre 1866 a Vittorio Emanuele II unite; e il Re Galantuomo il 22 novembre successivo decretò:
Il novello Comune risultante dalla riunione di Ceneda e Serravalle è autorizzato ad assumere la denominazione di Vittorio.

Testo tratto dal libro di Lucio Bologna " Breve Compendio della storia di Vittorio Veneto" Tip. P. Armellin e Figli 1924
Ristampa anastatica a cura del panificio "Eredi Tami" di Vittorio Veneto.